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Dal 7 ottobre alla pace Manifesto promosso da Sinistra per Israele

Il massacro compiuto da Hamas il 7 ottobre scorso e le drammatiche conseguenze dell’operazione militare sulla popolazione palestinese hanno determinato una spirale che va immediatamente interrotta attraverso un accordo di cessate il fuoco che consenta la liberazione di tutti gli ostaggi israeliani e l’inoltro alla popolazione civile di Gaza, in condizioni di sicurezza, degli aiuti umanitari.

È la drammaticità degli eventi a imporre l’urgenza di una risposta razionale, progressista, tesa ad affermare il principio di una pace possibile, indispensabile per tutti i popoli della regione. La risposta che auspichiamo poggia su due ineludibili presupposti.

Il primo riguarda il giudizio sulla strage del 7 ottobre, che non viene dal nulla ma che, al contrario, si inscrive nella strategia di Hamas che, sin dal suo statuto fondativo, rifiuta ogni forma di compromesso e ogni prospettiva di pace, perseguendo la cancellazione dello Stato di Israele e predicando l’uccisione degli ebrei. Hamas tuttavia non rappresenta tutto il popolo palestinese. A maggior ragione la ricerca di una soluzione di pace va perseguita con determinazione.

Per rimettere in moto il percorso di pace — è il secondo presupposto — occorrono leadership credibili. Innanzitutto, è necessario che una rinnovata leadership palestinese dell’ANP — unico interlocutore per la pace oggi internazionalmente riconosciuto — superi le ambiguità che hanno concorso al fallimento degli accordi di Oslo. Così come sono essenziali un atteggiamento cooperativo del mondo arabo, sulla scorta degli Accordi di Abramo, e un impegno attivo dell’intera comunità internazionale, superando troppe inerzie. Allo stesso tempo, è necessaria una nuova leadership israeliana che creda nella
convivenza di due Stati per i due Popoli.
Le politiche perseguite dal governo Netanyahu, la prosecuzione dell’occupazione della Cisgiordania, l’espansione degli insediamenti di coloni e il pervicace rifiuto della nascita dello Stato palestinese sono incompatibili con soluzioni di pace.

Anche per queste ragioni di stringente attualità, Sinistra per Israele — che fin dalla sua fondazione si è battuta per una soluzione di convivenza e di pace — ribadisce oggi i seguenti principi e obiettivi, rivolgendosi a tutti coloro che in questi mesi terribili condividono la nostra medesima urgenza.

  1. Riaffermiamo come irrinunciabile il diritto di Israele a esistere, riconosciuto dai suoi vicini, e a vivere in sicurezza nei propri confini. Si tratta di un diritto non scontato, ma anzi minacciato quotidianamente da organizzazioni terroristiche e forze politiche radicali in ogni parte del mondo, manovrate soprattutto dal regime iraniano. Il diritto di Israele a esistere è tutt’uno con ildiritto del popolo palestinese a un proprio Stato indipendente a fianco diIsraele, come stabilito dalle Nazioni Unite e dagli accordi di Oslo e Washingtondel 1993. Proprio perché su quella terra vivono due diritti ugualmente legittimi,l’obiettivo di «due popoli due Stati», il mutuo riconoscimento di due ragioni, è ancora e sempre il nostro orizzonte e la soluzione da perseguire.

2. Le radici di Israele affondano in una storia che i progressisti europei devono sapere riconoscere e valorizzare. Il sionismo è stato il legittimo movimento di liberazione nazionale e sociale del popolo ebraico e in esso sono vissuti e tuttora vivono i valori di uguaglianza, giustizia, liberazione umana della sinistra democratica e del progressismo. Vivono, come nella straordinaria esperienza dei kibbutz, il progetto e il sogno di una società più giusta, di donne e uomini liberi ed eguali. Soltanto la conoscenza delle radici di Israele può arginare i pregiudizi anti-sionisti e anti-israeliani che albergano nella società italiana, anche a sinistra e nel campo progressista, e che si manifestano attraverso forme antiche e nuove di delegittimazione, di ostilità, quando non di aperto antisemitismo.

3. Come per tutte le democrazie, il giudizio sullo Stato di Israele non deve coincidere con quello sul suo governo in carica. Israele è fin dalla sua nascita una democrazia fondata su valori liberali e progressisti, in una regione fortemente segnata da regimi autocratici. Anche le continue e straordinarie mobilitazioni della società israeliana testimoniano una robusta e radicata cultura democratica e la possibilità concreta di restituire a Israele una politica aperta a un vero processo di pace. Il più drastico giudizio sulle politiche di Netanyahu non può in alcun modo tradursi nella negazione del diritto all’esistenza dello Stato di Israele, né tantomeno nella colpevolizzazione degli ebrei che vivono in ogni parte del mondo.

Questo è il nostro impegno per la pace, oggi e sempre, per due Stati per i due popoli.

Per aderire cliccate qui

https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLScO_ZGbKswZRvuoID_i7tKzuEERkaH5W-HYN4z2cWflMEy1MQ/viewform?vc=0&c=0&w=1&flr=0&pli=1

Primi firmatari

Mario Ajello, Giorgio Albertini, Luca Alessandrini, Alessandro Alfieri, Giuliano Amato, Aldo Amoretti, Federigo Argentieri, Alessio Aringoli, Ernesto Assante, Corrado Augias, Ludina Barzini, Franco Bassanini, Luciano Belli Paci, Marco Bentivogli, Silvia Berti, Enzo Bianco, Massimiliano Boni, Daniele Bonifati, Anna Borletti, Enrico Boselli, Gianclaudio Bressa, Virginio Brivio, Ugo Caffaz, Riccardo Calimani, Anselmo Calò, Donatella Capirchio, Pierluigi Castagnetti, Fiorella Castelnuovo, Francesco Cataluccio, Alberto Cavaglion, Stefano Ceccanti, Luca Cefisi, Carlo Cerami, Franca Chiaromonte, Vannino Chiti, Francesco Clementi, Furio
Colombo, Paola Concia, Silvia Costa, Silvia Cuttin, Erica D’Adda, Cesare Damiano, Alessandro De Angelis, Andrea De Benedetti, Edmondo de Donato, Ariel Dello Strologo,
Angelo Di Capua, Flavia Di Castro, Beppe Di Chio, Piero Fassino, Valeria Fedeli, Emanuele Fiano, Massimo Finzi, Giovanni Maria Flick, Anna Foa, Stefano Folli, Emilio Gabaglio, Paolo Giaretta, Siegmund Ginzberg, Silvia Godelli, Giorgio Gomel, Anna Grattarola Romano, Andrea Graziosi, Luca Jahier, Stefano Jesurum, Roberto Jona, Fiorella Kostoris, Marco Krivacek, Guido Laj, Linda Lanzillotta, Bruna Laudi (e il Gruppo di Studi Ebraici di Torino), Fabio Levi, Sara Levi , Fernando Liuzzi, Elena Loewenthal, Alessandra Longo, Andrea Lorusso Caputi, Luigi Maccotta, Victor Magiar, Simona Malpezzi, Claudia Mancina, Aurelio Mancuso, Enzo Maraio, Alessandro Maran, Marina Marini, Giacomo Marramao, Claudio Martelli, Virginio Merola, Gennaro Migliore, Adriano Musi, Daniele Nahum, Tommaso Nannicini, Sandro Nannini, Giulio Napolitano, Dario Nardella, Riccardo Nencini, Fabio
Nicolucci, Gabriele Nissim, Simone Oggionni, Alberto Pagani, Emmanuele Pavolini, Pina Picerno, Marco Pierini, Anna Piperno, Lia Quartapelle, Fausto Raciti, Mario Raffaelli, Umberto Ranieri, Mario Ricciardi, Christian Rocca, Mario Rodriguez, Andrea Romano, Fabrizio Rondolino, Lina Salmon, Mario Salmon, Michele Salvati, Ivan Scalfarotto, Gadi Schoenheit, Renata Segre, Daniela Tagliafico, Alessandra Tarquini, Irene Tinagli, Claudio Vercelli, Francesco Verducci, Walter Verini, Marco Vigevani, Luciano Violante, Tobia Zevi.
Roma, 6 marzo 2024

Hanno inoltre aderito

Paola Abbina, Daniela Abram, Elena Aga Rossi, Deborah Aghib, Roberta Agretti, Simone Aiolfi, Francesca Ajmar, Francesca Alatri, Clara Elena Albani, Ettore Albano, Roberto Albano, Sofia Albano, Claudio Alberti, Elena Alberti, Susanna Aldini, Elena Alvino, Maurizio Amadori, Cesare Amati, Luca Amato Lazzaroni, Guido Ambroso, Fabrizio Amerelli, Giangiacomo Amoretti, Franco Angelico, Massimo Ankor, Rosella Annibali, Rapisardo Antinucci, Enrica Antonini, Rosa Antonucci, Fabio Apicella, Gregorio Apicella, Simone Aprea, Pietro Aragona, Marilena Arancio, Annalena Aranguren, Gloria Arbib, Adriana Argentini, Francesco Argenton, Marco Armano Elio, Antonio Armellini, Giorgio Arras, Angiolina Arru, Carla Artefice, Manuela Ascoli, Marco Ascoli Marchetti, Emilio Astesani, Roberto Attias, Paola Aurucci, Nicola Avigni, Alessandra Babighian, Alberto Bader, Carlo Baffert, Bruna Baffetti, Carlo Baffetti, Enrico Baglioni, Fulvio Baldin, Dionisio Barattini, Luciana Barbarano, Filippo Barberis, Lucia Barberis, Pietro Barbetta, Nora Barbieri, Zanobi Barducci, Andrea Baroncelli, Franco Baroni, Pietro Barrera, Susanna Barta, Elena Lea Bartolini, Sandro Bartolomeo, Cesare Bassani, Giorgina Bassetti, Alessandro Basso, Gianni Battimelli, Luisa Battuello, Giuseppe Bayma, Mario Beghelli, Jacky Behar, Filippo Bellandi, Carlo Beltramino, Nino Bemporad, Luigina Benci, Folco Giovanni Bencini, Giovanna Benini, Pierpaolo Benini, Roberto Benini, Vittorio Hajime Beonio Brocchieri, Marina Berlinghieri, Giovanna Bernardelli, Carlo Bersani, Ugo Berti Arnoaldi, Daniele Bertino, Barbara Bertola, Niccolò Bertorelle Mazzilli, Maria Cristina Betteghella, Fiorenza Bevilacqua, Donata Bianchi, Elisa Bianchi, Carlo Bianco, Paola Biasci, Augusto Bisegna, Angela Bizzarro, Umberto Blasimme, Eva Boccara, Giorgio Boccolari, Angelo Bolaffi, Patrizia Bonanni, Luca Lorenzo Bonatti, Barbara Bonci, Athos Boncompagni, Francesco Bonincontro, Fabrizio Bonino, Enrico Bono, Mino Bonomelli, Matteo Andrea Bonomo, Enrico Borg, Valeria Borgese, Aldo Borghesi, Paola Borghini, Paolo Borrello, Gianluca Bortoletto, Giorgio Bottiglioni, Eva Bovolenta, Bruno Maria Bracci, Daniela Bragazzi, Francesca Brandes, Paolo Brandi, Marco Brando, Carla Brandolini, Giovanni Brauzzi, Gianmarco Brenelli, Alexandre Brentel, Giorgio Brera, Mercedes Bresso, Cecilia Brighi, Cristina Brioschi, Mario Brociner, Simona Brugnoni, Daniela Bruno, Gabriella Brusa-Zappellini, Edmondo Bruti Liberati, Daniel Buaron, Filippo Bucarelli, Marco Bucciarelli, Gian Domenico Burbassi, Federico Buscemi, Giovanni Buscemi, Pietro Bussolati, Annamaria Cabitza, Giovanni Cacciano, Franco Cacciatori, Alberto Cadeddu, Eva Caianiello, Eduardo Caiazzo, Patrizia Calcaterra, Paolo Calì, Carolina Calicchio, Angelica Edna Calò, Avner Calò, Mirella Camarca, Arianna Camellini, Stefano Camisasso, Lia Cammeo, Marco Camorali, Fiore Camorino, Alessandra Campagnano, Massimo Campanino, Marco Campione, Salvatore Campo, Niccolò Camponi, Donata Campra, Marina Canale, Mario Canfora, Rocco Antonio Cangelosi, Antonella Canova, Giorgina Cantele, Giovanni Canzio, Teodoro Capannelli, Leonardo Capannoli, Carlo Capelli, Marco Capoduro, Elizabeth Cappa, Francesco Capretti, Bruno Capurro, Antonio Caputo, Valentina Caracciolo, Fabiola Cardia, Pietro Carideo, Grazia Carifi, Silvano Carli, Laura Carlotta – Gottlob, Paola Carlucci, Monica Carollo, Antonio Carones, Lorena Carpi, Silvia Carrara, Luigi Carrera, Sonia Caruso, Vincenzo Caruso, Antonietta Casalanguida, Manuela Casale, Elsa Casanova, Bruna Dora Cases, Marco Casonato, Sergio Casprini, Giacomina Cassina, Maria Antonietta Cassini, Carlo Castellani, Sergio Castelletti, Susanna Castelletti, Silvano Castelli, Carlo Catelani, Ines Catellani, Andrea Catena, Fania Cavaliere, Gina Cavalieri, Paola Cavallari, Marco Cavallarin, Emma Cavallucci, Adriana Cavarero, Carla Cavazzi, Wanda Cavecchia, Ludovico Cazzola Hofmann, Bruno Ceccarelli, Francesca Ceccherini Silberstein, Franca Cecchinato, Alberto Celli, Giovanni Matteo Centore, Gabriella Ceracchi Fornaro, Alessandro Cerrato, Vincenzo Cerulli Irelli, Jose Alberto Ceruttt, Gianni Cervetti, Valeria Cervetti, Letizia Cesarini Sforza, Manrico Cesaro, Anna Cesselon, Mino Chamla, Maria Teresa Chialant, Marco Chiauzza, Franca Chizzoli, Alessandro Ciancio, Susan Ciancio, Massimo Cingolani, Gianuario Cioffi, Claudio Cippitelli, Maria Vittoria Cirillo, Stefano Cirillo, Remo Cittone, Carmela Ciulla, Luca Clara, Marcello Clarich, Listello Claudia, Giorgio Cocchi, Donato Cocuzzo, Miriam Coen, Monica Coen, Olga Coen, Sabrina Coen, Maurice Albert Cohen, Miriam Cola, Rita Colantonio, Antonio Michele Colantuono, Federica Colarieti, Chiara Maria Colombari, Mario Colombini, Ambrogio Colombo, Claudia Colombo, Marco Colombo, Ennio Coltorti, Michaela Colucci, Maria Grazia Comini, Fabrizio Comolli, Marian Comotti, Claudia Conforti, Sergio Consigli, Pietro Contegiacomo, Aurora Contu, Nadia Coppola, Maurizio Coradini, Luigi Corbani, Alberto Corcos, Patrizia Cordone, Francesca Corradi, Lucia Corso, Gennaro Cortese, Franco Corti, Domenico Cortinovis, Luigi Corvaglia, Francesco Cosentino, Umberto Costi, Luciano Cosuccia, Giovanni Crema, Alberto Cucco, Alberto Cuevas, Mattia Cugini, Gianni Cuperlo, Laura Curatolo, Massimo Cuzzolaro, Giordano D’Urbino, Daniele Dal Mas, Camillo Dal Verme, Franco D’Alfonso, Tullio Della Seta, Massimo Dalla Torre, Antonio D’Andria, Ardemagni Daniele, Veronika Daprà, Elena Davoli, Davide De Bella, Alfredo De Bellis, Giorgio De Benedetti, Ludovica De Benedetti, Luca De Benedictis, Alberto De Bernardi, Candida De Bernardinis, Maura De Bernart, Maurizio Giovanni De bonis, Sandra De Castro, Maria Elisabetta De Gaudentis, Francesco De Giacomi, Diana De Marchi, Danilo De Masi, Angelo De maso, Marie-Françoise De Mendonça Faria Soares, Marinella De Nigris, Paolo De Petris, Rosanna De Ponti, Roberta De Sanctis, Enrico Deaglio, Samuele Marco Degradi, Vittoria Dehò, Fabienne Dejean Schwalbe, Marco Del Ciello, Maddalena Del gatto, Marina Del Monte, Ludovica Del Roscio, Pasquale Del Vecchio, Gadiel Dell’Ariccia, Manlio Dell’Ariccia, Micol Dell’Ariccia, Fabio Della Pergola, Maria Chiara Della Pergola, Roberto Della Rocca, Tullio Della Seta, Massimo Della Valentina, Mirna Dell’Ariccia, Marco Delvai, Romano Dentoni, Patrizia Deotto, Cinzia Derine, Tobia Desalvo, Giovanni Di Bartolo, Augusto Di Benedetto, Carlo Di Castro, Claudia Di Cave, Giuseppe Di Lena, Franco Di Leo, Franca Di Leonardo, Nina Di Majo, Enrico Di Mambro, Anna Maria Di Marco, Antonio Di Meglio, Giuseppe Di Nardo, Silvia Di Nola, Piero Di Porto, Nicoletta Di Rocco, Anna Di Segni, Marcello Di Segni, Archita Francesco Di Serio, Vinicio D’Intino, Anna Dolfi, Francesco Donolato, Roberto D’Ooriano, Giovanni Yanai Dossena-Frank, Michel Dreifuss, Luca Dresda, Piero Duca, Guido Duiella, Daniele D’Urbino, Antonio Duva, Ramad El’Dib, Gabriella Ert, Peggy Eskenazi, Giulia Fabbretti, Fausto Facheris, Michele Fadda, Simone Falco, Anna Falco Dello Strologo, Luisa Faldini, Sabrina Faller, Dalia Fano, Silvia Fargion, Vittoria Ketty Fargion, Salvatore Fasano, Davide Fascio, Andrea Fassò, Mario Fasulo, Emma Fattorini, Sira Fatucci, Fulvia Fazio, Giancarlo Fazzi, Giorgio Valentino Federici, Giuliano Federici, Giuseppe Federici, Nicola Federici, Shirly Fein, Andrea Felis, Andrea Fellegara, Manuel Felsani, Massimo Ferlini, Filippo Ferlito, Alessandro Ferrara, Paola Ferraresi, Margherita Ferrari, Fabrizio Ferrazzi, Giovanni Ferrero, Ilia Ferrero, Elio Ferrillo, Luigi Ferro, Lidia Fersuoch, Tiziana M. Ficacci, Andrea Ficosecco, Giuseppina Fidilio, Maria Giuseppina Filingeri, Marco Filippa, Mario Filosi, Luca Finazzi, Lia Finzi, Graziano Fiordelmondo, Roberto Fiorentini, Daniele Fiorentino, Francesco Aldo Fiorentino, Mauro Fioroni, Daniele Fischer, Giovanna Foa, Marta Fragala’, Vespa Francesco, Giuseppe Franchetti, Letizia Franchetti, Alessandro Franchetti Pardo, Vittorio Franchetti Pardo, Alessandro Franco, Amelia Frascaroli, Margie Friesner, Paola Friggeri, Sara Frizza, Emanuela Fubini, Paola Fubini, Andrea Alfonso Funzi, Ruggero Gabbai, Sara Gabbai, Paola Gabbrielli, Renato Gabriele, Francesca Gabrini, Ilaria Gadda Conti, Mario Gaeta, Lorenzo Gaiani, Alessandro Galatioto, Sergio Gallo, Giacomo Gambale, Riccardo Gandolfi, Valeria Gandus, Pupa Garribba, Massimo Gatti, Laura Gattullo, Cesare Gaudiano, Manlio Gaudioso, Francesco Gavilli, Linda Gean, Giuseppe Genovese, Sara Gentile, Cecilia Ghelli, Maurizio Giancola, Libero Gianelli, Meucci Gianmichele, Luca Gianni, Marialetizia Gianni, Nicolò Gianotti, Barbara Giardini, Ada Gigli, Gianfranco Ginelli, Chiara Giorgi Alberti, Flaminia Giorgi Rossi, Marco Giuliani, Gianpaolo Giuliano, Alessandro Golinelli, Sandra Golini, Eleonora Gorgati, Franco Gori, Giorgio Gori, Camilla Gotz, Alfonso Grassadonio, Daniele Grasselli, Monica barbara Grassi, Andrea Graziani, Giorgio Greco, Monia Greco, Laura Greggio, Giovanna Grenga, Alberto Grenni, Caterina Grio, Elena Grondona, Gianni Gualberto Morelenbaum, Giulia Guarnieri, Lorenzo Guerini, Elisa Gusberti, Victoria Habib, Guido Haschke, Claudia Hassan, Leone Hassan, Luciano Hassan, Silvia Hassan, Dario Hayun, Simonetta Heger, Guido Hermanin De Reichenfeld, Maurizio Illuminato Tessari, Gerardo Imbriano, Filippo Indovino, Mauro Invernizzi, Grazia Ippolito, Michele Maria Ippolito, Michela Jesurum, Rachele Jesurum, Joseph Jona Falco, Toni Jop, Lia Krivacek, Giovanni La Croce, Stefania La Penna, Salvatore La rosa, Maria Ornella Lai, Maurizio Landieri, Pietro Mario Landini, Enzo Lanza, Alexandra Lappon, Sauro Laranci, Alberto Lasagni, Umberto Lascar, Giorgio Latis, Flavia Lattanzi, Paolo Lattanzio, Alessandro Laudani, Giuseppe Lauri, Mario Lavia, Patrizia Lavia, Caterina Lazzarini, Stefano Leandro, Maria Laura Ledda, Roberto Lehmann, Franco Lenarduzzi, Giovanna Leoni, Alessandra Leproux, Luca Letizia, Alberto Levi, Giorgio Levi, Marta Levi, Roberto Levi, Tamara Levi, Susanna Levi Minzi, Sandra Levis, Claudio Ligas, Benedetto Ligorio, Riva Lilette, Dennis Linder, Tommaso Lingeri, Nicolò Liparoti, Vittorio Liuzzi, Maurizio Lo Re, Antonio Lombardi, Michela Lombardi, Emilio Lonardo, Fabio Lopez, Tiziana Lorenzetti, Caterina Luceri, Pierluigi Luceri, Andrea Luzi, Claudio Giuseppe Luzzatti, Maria Patrizia Maccotta, Marianna Madia, Renata Magarini, Ettore Maggi, Roberto Maggi, Alice Valeria Magiar, Rosa Magiar, Vittorio Maglia, Emilia Magnarelli, Enrico Magnelli, Alessio Magnolfi, Franco Magnone, Emilio Maio, Gianluca Maiorano, Marisa Malagoli Togliatti, Ilenia Malavasi, Antonio Malerba, Gabriella Malfatto, Armando Malta, Alfonso Mambella, Annalisa Michal Mambretti, Fausto Manasse, Mila Manasse, Stefania Manca, Paola Mancinelli, Luigi Manconi, Giulio Manfredi, Benedetta Manghi, Eva Mangialajo Rantzer, Tito Mangialajo Rantzer, Daniela Manini, Fabio Manunza, Elfrida Manzella, Irene Manzi, Ana Isvelia Marà, Dino Marchese, Giorgio Marchesini, Patrizio Marchetti, Piergaetano Marchetti, Sergio Marchi, Giuseppe Marcocchi, Esterina Marcovecchio, Fabrizio Marcucci, Massimiliano Marena, Gianluigi Mariani, Giulia Mariani, Goffredo Mariani, Daniela Marigo, Edoardo Marinelli, Massimiliano Marinelli, Annalisa Marino, Caterina Rosa Marino, Mariano M. Marino, Danilo Marinucci, Chiara Marra, Sergio Marra, Tina Martelloni, Paolo Martinelli, Emilio Martini, Marco Marzano, Alvise Marzo, Antonello Mascia, Gianvito Mastroleo, Silvio Matalon, Annio Matteini, Marco Matteini, Giovanni Matteoli, Roberto Matteucci, Enzo Mattina, Cinzia Mattiucci, Pietro Maturi, Marco Mayer, Marco Mazza, Lucia Mazzoni, Giandomenico Me, Evelina Meghnagi, Giovanna Melandri, Maurizio Melani, Luciano Mele, Alberto M. Melis, Graziella Meloni, Samuele Menasce, Maria Luisa Meneghetti, Pier Giovanni Menicatti, Fiorella Merante, Francesca Mercanti, Bruno Isaia Merlin, Mara Merlino, Claudio Francesco Merlo, Leonardo Messana, Giuliana Michelini, Leonardo Micucci, Daniela Midena, Marzia Miele, Sandra Mieli, Emanuela Migheli, Rosanna Migliore, Michele Migone, Gianstefano Milani, Anna Mileti, Enzo Minervini, Stefano Minin, Margherita Miserocchi, Roberta Miserocchi, Claudia Mizrahi, Santina Mobiglia, Raffaella Molena, Marco Moneta, Emanuele Marco Mongiovì, Roberto Montanari, Augusto Montaruli, Enrico Morando, Alberto Moreni, Armando Moreschi, Alessandro Moretti, Donata Moretti, Carlotta Morgana, Claudio Mori, Guido Mori, Maurizio Mori, Carla Morlotti, Daniele Moro, Francesco Moroni, Marina Morpurgo, Andrea Morroni, Stefano Moscatelli, Nyranne Moshi, Marzia Motti, Fulvio Mozzachiodi, Anna Mozzo, Lucilla Musatti, Tullia Musatti, Vanni Musi, Niccolò Musmeci, Giuliano Vittorio Mussati, Federico Musso, Tommaso Autari Musso, Sabatino Mustacchi, Carla Muzi, Ilaria Myr, Emilio Nacamulli, Simona Nacamulli, Ferruccio Nano, Alesssandro Napoli, Hanna’ Nassisi, Angelo Natale, Sara Natale Sforni, Dahlia Nathaniel, Giovanni Neiman, Isabella Nespoli, Marina Nezi, Angela Nicolini, Antonio Nicosia, Carmelo Nigrelli, Silva Nocentini, Livia Noris, Paola Notari, Claudio Pietro Nuti, Paolo Odasso, Alessandro Oderda, Carla Olivari Flick, Alessio Francesco Olivieri, Mario Ongaro, Melania Oppenheimer Di Leo, Elvira Orebi, Giovanni Orfei, Benedetta Origo, Gabriella Orlandi, Fulvio Orlando, Diana Ottolenghi, Patrizia Ottolenghi, Paolo Maria Ottone, Daniela Ovadia, Mauro Pacilio, Elena Padovani, Raffaele Padrut, Marco Pagani, Stefania Pagani, Simone Paganoni, Alessandro Pagliaro, Ivana Paisi, Paola Paladini, Nicoletta Pallini, Giovanni M. Pallone, Laura Palmieri, Gaetano Palombelli, Alessandro Palumbo, Antonio Pandolfo, Silvia Panichi, Giorgio Panizzi, Angelo Pappadà, Alessandro Pardini, Fabio Pari, Giulia Parini bruno, Alessandro Paris, Augusto Parisi, Ferruccio Parri, Silvio Paschi, Riccardo Pasqualetti, Andrea Patanè, Lorenza Patriarca, Pietro Paviotti, Vittorio Pavoncello, Claudio Pecora, Enrico Maria Pedrelli, Marco Pedretti, Egidio Pedroni, Giuseppe Pedroni, Giorgia Pellarin, Erica Pellegrini, Giuseppe Pellegrino, Vincenzo Pellegrino, Nelly Pepe, Marilena Permunian, Emilia Perroni, Donatina Persichetti, Paolo Peruzzi, Gloria Pescarolo, Oliviero Pesce, Gianluca Pessoni, Franco Peta, Raffaella Petrilli, Cosimo Petrolino, Cesare Pianciola, Cinzia Piantanida, Elizabeth Picard, Oreste Picari, Donatella Picciau, Paolo Piccinini, Alberto Piccioni, Emanuela Piccioni, Maurizio Picciotto, Paola Pilati, Massimo Pinardi, Roberta Pinotti, Maiia R. Piovano, Federica Piperno, Marina Piperno, Rossella Piperno, Stefano Piredda, Salvatore Pirino, Tano Pirrone, Domenico Pisanelli, Biagio Pisapia, Alberto Pisci, Rodolfo Pisoni, Franca Pistilli, Gabriella Pistone, Giovanni Piva, Luciana Pizzin, Stefano Pogelli, Anna Pompili, Deborah Pompili, Chiara Pontecorvo, Alessandro Porcelluzzi, Gianfranco Porcu, Luciana Porrino, Andrea Portaleone, Piero David Portaleone, Pier Paolo Portinaro, Julie Rebecca Poulain, Davide Pozzi, Maria Antonietta Pranteda, Carlotta Rebecca Praolini, Erika Prenner, Cesare Prevedini, Mariella Principato, Roberto Principe, Salvatore Prisco, Roberto Proietto, Vania Protti Traxler, Diana Puglisi, Davide Puntillo, Caterina Quareni, Antonio Quatela, Alessio Quintavalle, Giancarlo Rabbai, Gianmaria Radice, Daniele Radzik, Andrea Ragazzini, Giorgio Ragazzini, Massimo Ragazzini, Rodolfo Ragionieri, Antonella Rampino, Nadia Ranalli, Tito Rantzer, Renato Rapino, Fiorello Rathaus, Tobia Ravà, Vittorio Rava’, Anna Elisa Ravenna, Marcella Ravenna, Giuseppe Ravera, Roberto Reali, Guido Regina, Sarah Regina, Andrea Rényi, Daniele Repetto, Edmondo Rho, Marco Riboldi, Claudio Ricci, Roberto Ricciuti, Paolo Rietti, Massimo Rimoldi, Sara Rinaudo, Daria Ripa Di Meana, Gabriella Ripa Di Meana, Virginia Ripa Di Meana, Carlo Riva, Franca Roberta Riva, Roberto Rocciolo, Fabio Roda, Gianfranco Rodano, Luciano Roffi, Andrea Rollin, Scilla Roncallo, Barbara Ronchetti, Emanuele Ronchetti, Maddalena Ronconi, Carla Roscioli, Nicola Rosselli, Mia Rossetti, Alessandra Rossi, Ivo Rossi, Alessandro Rosso, Maurizio Ruben, Fabiola Ruggieri, Rita Russo, Gabriella Rustici, Chiara Sabatini, Oreste Sabatino, Alberto Sabbadini, Manuela Sabbadini, Mauro Sabbadini, Miriam Sabbadini, Andrea Sabbatini, Viviana Saccani, Adolfo Sacchetta, Emanuela Sacchi, Laura Lea Sacerdote, Andrea Sacerdoti, Giorgio Sacerdoti, Michele Sacerdoti, Silvio Sacerdoti, Claudio Sagoleo, Franca Salina, Mariolina Salio, Sergio Salomone, Bruno Salvatici, Renzo Salvatici, Stefania Salvio, Stefano Sancio, Massimo Sandri, Ilda Sangalli Riedmiller, Valeria Sannucci, Anna Rosa Santi Villari, Simonetta Santini, Simone Santucci, Daniela Santus, Annamaria Saponara, Michele Sarfatti, Piera Sassaroli, Sandra Sassaroli, Enrico Sasson, Antonio Savoia, David Sbardella, Augusto Scacco, Giorgio Scanu, Antonio Scaramuzza De Marco, Irene Scarpati, Pietro Scarpulla, Lionella Scazzosi, Mario Scazzosi, Regina Schapirer, Augusto Schieppati, Luisella Schreiber, Nicolas Schwalbe, Ariela Sciunnsch, Maria Eugenia Sciuto, Simona Scolari, Marzio Scudino, Delia Rina Sdraffa, Luisa Secondo, Emanuele Segre, Guido Segre, Lia Segre, Patrizia Segre, Vera Segre, Andrea Selis, Filippo Sensi, Giacomo Tiberio Sepe, Patrizia Serafini, Riccardo Serafini, Flavio Serato, Marina Sermoneta, Mirella Serri, Claudio Sestieri, Analia Setton, Ileana Sforni, Rosanna Sgaravato, Livia Shamir, Shel Shapiro, Edmon Shimon, Fiorenzo Sicuri, Enrica Signorelli, Barbara Silvera, Maria Silvera, Livio Sirovich, Loredana Soderini, Francesco Somaini, Giovanni Carlo Sonnino, Graziano Sonnino, Giovanni Sora, Lorenzo Sornaga, Marco Sornaga, Andrea Spadaccini, Mirella Spadini, Giovanni Staiano, Alessandro Starnini, Marco Steiner, Maria Teresa Stiffan, Igor Stojanovic, Tiziana Strabello, Elettra Stradella, Ivano Strizzolo, Paola Suardi, Antonio Ya’akov Tagliacozzo, Franca Tagliacozzo, Lia Erminia Tagliacozzo, Luciano Tagliacozzo, Sergio Tagliacozzo, Annamaria Tagliavini, Carlo Tanara, Aldo Tanchis, Gustavo Tani, Fausto Tanzarella, Francesco Tarquini, Luciana Tartaglia, Patrizia Tauber, Sonia Taurino, Dante Tazza, Giuliano Tedesco, Alexander Tenenbaum, Mariateresa Tenore, Elena Teolis, Mauro Terlizzi, Roberta Terracina, Benedetto Terracini, David Tesoriere, Antonio Testini, Antonella Tiburzi, Marco Tinti, Nereo Tiso, Maurizio Titton V., Massimo Tivegna, Fioralba Todo, Marco Gabriele Tofani, Giorgio Tonini, Francesca Torchi, Enrico Torchia, Anna Tornati, Donatella Torre, Tiziana Tosi, Matteo Tosin, Massimo Tramontin, Vittorio Tranquilli, Alberto Trenini, Benedetta Treves, Giuseppe Trifilò, Paolo Trovato, Thomas Trovato, Maria Trozzo, Corrado Truffi, Giorgio Tulli, Fabio Turone, Mauro Ugazio, Piervincenzo Uleri, Graziella Uziel, Lilj D. Uziel, Antonella Vacca, Danilo Vaccaro, Chiara Vaggi, Maurizio Vais, Paolo Maria Vajani, Alessandro Valabrega, Stefano Valabrega, Adriana Valabrega Tedeschi, Rosella Valcarenghi, Catia Valentini, Alberto Vallarin, Cecilia Valmarana, Vincenzo Valori, Giorgio Van Straten, Luigi Vanni, Ugo Vanni, Claudio Varini, Gianfranco Varvesi, Laura Vasta, Serena Veggetti, Claudio Velardi, Milka Ventura, Sandro Ventura, Alessandra Vercesi, Orio Vergani, Giancarlo Veronese, Silvano Veronese, Miriam Vertes, Sara Vescovi, Severino Vettorato, Sergio Patterio Vettore, Luca Vettorello, Aurelio Maria Vicari, Cosima Vicari, Giuseppe Paolo Vigano’, Stefania Viglianesi, Ottavio Viglione, Ilaria Villa, Tiziana Villa, Giorgia Villa Galatioto, Carla Villagrossi, Paolo Villani, Francesco Villano, Luigi Viola, Mauro Viola, Stefano Viotto, Carlo Visco Gilardi, Paola Vita Finzi, Micaela Vitale, Ariodante Vitali, Fabrizio Vitali, Francesco Vitari, Vittorio Viterbo, Carlo Vitti, Piero Vitti, Aglaia Viviani, Rosella Vivio, Marco Volante, Paolo Volterra, Susanna Voltolini, Isabella Weiss, Raùl Wittenberg Cohn, Marina Wolff, Orith Youdovich, Antonio Zaccagnino, Eleonora Zaccarelli, Franca Zacchei, Mario Zaccherini, Giuseppe Zambon, Paola Zamboni, Giuseppe Zammito, Sandra Zampa, Walter Zampieri, Michele Zampino, Isidoro Zandonà, Mariella Zanetti, Stefano Zani, Flavio Zanonato, Roberta Zarfati, Claudio Zecchi, Mario Zerbini, Alberto Zevi, Giovanna Zincone, Nicola Zingaretti, Marcello Zinola, Catia Zironi, Francesco Zito, Marinella Zonta, Carlo Vittorio Zucca.

Aggiornato alle 15 del 20 Marzo 2024

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Israel Is Falling Into an Abyss

David Grossman , The New York Times , 1 Marzo 2024

Mentre la mattina del 7 ottobre si allontana, i suoi orrori sembrano solo aumentare. Ancora e ancora, noi israeliani ci raccontiamo ciò che è diventato parte della storia formativa della nostra identità e del nostro destino. Come per diverse ore i terroristi di Hamas abbiano invaso le case degli israeliani, ucciso circa 1.200 persone, stuprato e rapito, saccheggiato e bruciato. Durante quelle ore da incubo, prima che le Forze di Difesa Israeliane si riprendessero dallo shock, gli israeliani hanno avuto un’idea dura e concreta di ciò che potrebbe accadere se il loro Paese non solo subisse un duro colpo, ma cessasse davvero di esistere. Se Israele non fosse più.

Ho parlato con persone ebree che vivono fuori da Israele e che hanno detto che la loro esistenza fisica – e spirituale – si è sentita vulnerabile durante quelle ore. Ma non solo: Qualcosa della loro forza vitale era stato preso, per sempre. Alcuni sono stati persino sorpresi dall’entità del bisogno che avevano dell’esistenza di Israele, sia come idea che come fatto concreto.

Mentre l’esercito iniziava a contrattaccare, la società civile si stava già arruolando in massa nelle operazioni di soccorso e logistiche, con molte migliaia di cittadini che si offrivano volontari per fare ciò che il governo avrebbe dovuto fare se non fosse stato in uno stato di paralisi incosciente.

Al momento della pubblicazione, secondo i dati del Ministero della Sanità di Gaza gestito da Hamas, più di 30.000 palestinesi sono stati uccisi nella Striscia di Gaza dal 7 ottobre. Tra questi ci sono molti bambini, donne e civili, molti dei quali non erano membri di Hamas e non hanno avuto alcun ruolo nel ciclo della guerra. “Non coinvolti”, come li chiama Israele in conflittese, il linguaggio con cui le nazioni in guerra si ingannano per non affrontare le ripercussioni dei loro atti.

Il famoso studioso di cabala Gershom Scholem ha coniato un detto: “Tutto il sangue scorre verso la ferita”. Quasi cinque mesi dopo il massacro, Israele si sente così. La paura, lo shock, la furia, il dolore, l’umiliazione e la vendetta, le energie mentali di un’intera nazione – tutto questo non ha smesso di fluire verso quella ferita, verso l’abisso in cui stiamo ancora cadendo.

Non possiamo mettere da parte il pensiero delle ragazze e delle donne, e anche degli uomini, a quanto pare, che sono stati violentati dagli aggressori di Gaza, assassini che hanno filmato i loro crimini e li hanno trasmessi in diretta alle famiglie delle vittime; dei bambini uccisi; delle famiglie bruciate vive.

E degli ostaggi. Quegli israeliani che da 146 giorni sono tenuti nei tunnel, alcuni forse in gabbia. Sono bambini e anziani, donne e uomini, alcuni dei quali sono malati e forse stanno morendo per l’ossigeno e le medicine insufficienti e per la mancanza di speranza. O forse stanno morendo perché i normali esseri umani esposti al male assoluto e demoniaco spesso perdono l’innata voglia di vivere, la voglia di vivere in un mondo in cui sono possibili tanta malvagità e crudeltà. In cui vivono persone come i terroristi di Hamas.

L’enormità degli eventi del 7 ottobre a volte cancella la memoria di ciò che è venuto prima. Eppure, circa nove mesi prima del massacro, nella società israeliana si stavano manifestando crepe allarmanti. Il governo, con Benjamin Netanyahu a capo, stava cercando di far passare una serie di provvedimenti legislativi volti a indebolire fortemente l’autorità della Corte Suprema, infliggendo così un colpo letale al carattere democratico di Israele. Centinaia di migliaia di cittadini sono scesi in piazza ogni settimana, tutti quei mesi fa, per protestare contro il piano del governo. La destra israeliana sosteneva il governo. L’intera nazione stava diventando sempre più polarizzata. Quella che una volta era una legittima discussione ideologica tra destra e sinistra si era evoluta in uno spettacolo di profondo odio tra le varie tribù. Il discorso pubblico era diventato violento e tossico. Si parlava di dividere il Paese in due popoli separati. L’opinione pubblica israeliana sentiva che le fondamenta della sua casa nazionale stavano tremando e rischiavano di crollare.

Per coloro che vivono in Paesi in cui il concetto di casa è dato per scontato, devo spiegare che per me, attraverso la mia lente israeliana, la parola “casa” significa una sensazione di sicurezza, di difesa e di appartenenza che avvolge la mente di calore. Casa è un luogo in cui posso esistere con facilità. Ed è un luogo i cui confini sono riconosciuti da tutti, in particolare dai miei vicini.

Ma tutto questo, per me, è ancora immerso in un desiderio di qualcosa che non è mai stato pienamente raggiunto. Attualmente, temo che Israele sia più una fortezza che una casa. Non offre né sicurezza né agio, e i miei vicini nutrono molti dubbi e richieste sulle sue stanze e sulle sue mura e, in alcuni casi, sulla sua stessa esistenza. In quel terribile sabato nero, è emerso che non solo Israele è ancora lontano dall’essere una casa nel senso pieno del termine, ma non sa nemmeno come essere una vera fortezza.

Tuttavia, gli israeliani sono giustamente orgogliosi del modo rapido ed efficiente in cui si radunano per offrire sostegno reciproco quando il Paese è minacciato, sia da una pandemia come la Covid-19 che da una guerra. In tutto il mondo, i soldati della riserva sono saliti sugli aerei per raggiungere i loro compagni già chiamati alle armi. Andavano “a proteggere la nostra casa”, come dicevano spesso nelle interviste. C’era qualcosa di commovente in questa storia unica: Questi giovani uomini e donne si sono precipitati al fronte dai confini del mondo per proteggere i loro genitori e nonni. Ed erano pronti a dare la vita. Altrettanto commovente è stato il senso di unità che prevaleva nelle tende dei soldati, dove le opinioni politiche non erano importanti. Tutto ciò che contava era la solidarietà e il cameratismo.

Ma gli israeliani della mia generazione, che hanno vissuto molte guerre, si stanno già chiedendo, come facciamo sempre dopo una guerra: Perché questa unità emerge solo nei momenti di crisi? Perché solo le minacce e i pericoli ci rendono coesi e fanno emergere il meglio di noi, e ci sottraggono anche alla nostra strana attrazione per l’autodistruzione, per la distruzione della nostra stessa casa?

Queste domande provocano un’intuizione dolorosa: La profonda disperazione provata dalla maggior parte degli israeliani dopo il massacro potrebbe essere il risultato della condizione ebraica in cui siamo stati nuovamente gettati. È la condizione di una nazione perseguitata e non protetta. Una nazione che, nonostante i suoi enormi successi in tanti campi, è ancora, nel profondo, una nazione di rifugiati, permeata dalla prospettiva di essere sradicata anche dopo quasi 76 anni di sovranità. Oggi è più chiaro che mai che dovremo sempre vigilare su questa casa fragile e penetrabile. È stato chiarito anche quanto sia radicato l’odio di questa nazione

Nelle manifestazioni a cui partecipano centinaia di migliaia di persone, nei campus delle università più prestigiose, sui social media e nelle moschee di tutto il mondo, il diritto all’esistenza di Israele viene spesso contestato con entusiasmo. Una critica politica ragionevole che tenga conto della complessità della situazione può cedere il passo – quando si tratta di Israele – a una retorica dell’odio che può essere raffreddata (se mai lo sarà) solo dalla distruzione dello Stato di Israele. Per esempio, quando Saddam Hussein uccise migliaia di curdi con armi chimiche, non ci furono appelli a demolire l’Iraq, a cancellarlo dalla faccia della terra. Solo quando si tratta di Israele è accettabile chiedere pubblicamente l’eliminazione di uno Stato.

I manifestanti, le voci autorevoli e i leader pubblici dovrebbero chiedersi cosa c’è in Israele che provoca questo disgusto. Perché Israele, tra i 195 Paesi del pianeta, è l’unico ad essere condizionato, come se la sua esistenza dipendesse dalla buona volontà delle altre nazioni del mondo?

È nauseante pensare che questo odio omicida sia rivolto esclusivamente a un popolo che meno di un secolo fa era stato quasi sradicato. C’è anche qualcosa di irritante nel tortuoso e cinico collegamento tra l’ansia esistenziale degli ebrei e il desiderio espresso pubblicamente da Iran, Hezbollah, Hamas e altri che Israele cessi di esistere. È inoltre intollerabile che alcune parti cerchino di costringere il conflitto israelo-palestinese in un quadro colonialista, dimenticando volontariamente e ostinatamente che gli ebrei non hanno un altro Paese, a differenza di quanto avviene per gli altri popoli.

I colonialisti europei a cui vengono falsamente paragonati, e oscurano il fatto che gli ebrei non sono arrivati in terra d’Israele per conquistare, ma in cerca di sicurezza; che la loro forte affinità con questa terra ha quasi 4.000 anni; che è qui che sono emersi come nazione, religione, cultura e lingua.

Si può immaginare la gioia maliziosa con cui queste persone calpestano il punto più fragile della nazione ebraica, il suo senso di estraneità, la sua solitudine esistenziale – quel punto da cui non ha rifugio. È questo punto che spesso la condanna a commettere errori fatali e distruttivi, distruttivi sia per i suoi nemici che per se stessa.

Chi saremo – israeliani e palestinesi – quando questa lunga e crudele guerra sarà terminata? Non solo il ricordo delle atrocità inflitte l’uno all’altro ci separerà per molti anni, ma anche, come è chiaro a tutti noi, non appena Hamas ne avrà la possibilità, metterà rapidamente in atto l’obiettivo chiaramente indicato nel suo statuto originale: il dovere religioso di distruggere Israele.

Come possiamo quindi firmare un trattato di pace con un tale nemico?

Eppure, che scelta abbiamo?

I palestinesi faranno i conti da soli. Io, come israeliano, mi chiedo che tipo di persone saremo quando la guerra finirà. Dove indirizzeremo il nostro senso di colpa – se saremo abbastanza coraggiosi da provarlo – per ciò che abbiamo inflitto a palestinesi innocenti? Per le migliaia di bambini che abbiamo ucciso. Per le famiglie che abbiamo distrutto.

E come impareremo, per non essere mai più sorpresi, a vivere una vita piena sul filo del rasoio? Ma quanti vogliono vivere la propria vita e crescere i propri figli sul filo del rasoio? E quale prezzo pagheremo per vivere in costante vigilanza e sospetto, in perenne paura? Chi di noi deciderà di non voler – o di non poter – vivere la vita di un eterno soldato, di uno spartano?

Chi resterà qui in Israele, e quelli che resteranno saranno i più estremi, i più fanaticamente religiosi, nazionalisti, razzisti? Siamo condannati a guardare, paralizzati, mentre l’audacia, la creatività, l’unicità di Israele viene gradualmente assorbita nella tragica ferita dell’ebraismo?

Chi resterà qui in Israele, e quelli che resteranno saranno i più estremi, i più fanaticamente religiosi, nazionalisti, razzisti? Siamo condannati a guardare, paralizzati, mentre l’audacia, la creatività e l’unicità di Israele vengono gradualmente assorbite nella tragica ferita dell’ebraismo?

Queste domande probabilmente accompagneranno Israele per anni. Esiste, tuttavia, la possibilità che una realtà radicalmente diversa sorga per contrastarle. Forse il riconoscimento che questa guerra non può essere vinta e, inoltre, che non possiamo sostenere l’occupazione all’infinito, costringerà entrambe le parti ad accettare una soluzione a due Stati che, nonostante i suoi svantaggi e i suoi rischi (primo fra tutti, che Hamas prenda il controllo della Palestina in un’elezione democratica), è ancora l’unica praticabile?

Questo è anche il momento per gli Stati che possono esercitare un’influenza sulle due parti di usarla. Non è il momento della politica spicciola e della diplomazia cinica. È un momento raro in cui un’onda d’urto come quella che abbiamo vissuto il 7 ottobre ha il potere di rimodellare la realtà. I Paesi coinvolti nel conflitto non vedono che israeliani e palestinesi non sono più in grado di salvarsi da soli?

I prossimi mesi determineranno il destino di due popoli. Scopriremo se il conflitto che dura da più di un secolo è maturo per una risoluzione ragionevole, morale e umana.

È tragico che questo avvenga – se davvero avverrà – non per speranza ed entusiasmo, ma per stanchezza e disperazione. D’altra parte, questo è lo stato d’animo che spesso porta i nemici a riconciliarsi, e oggi è tutto ciò che possiamo sperare. E quindi ci accontenteremo. Sembra che abbiamo dovuto attraversare l’inferno stesso per arrivare al luogo da cui si può vedere, in una giornata eccezionalmente luminosa, il bordo lontano del cielo.

David Grossman

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Il Diario di Eshkol Nevo da Israele, quinta puntata: «I segni di un incubo che non vuole finire»

di Eshkol Nevo

Scrivo narrativa. Ho sempre scritto narrativa. Ho sempre trovato molto più interessante rispondere alla domanda «cosa sarebbe potuto succedere» piuttosto che alla domanda «cos’è successo». Ai miei studenti di scrittura creativa insegno: la realtà rappresenta un buon materiale di partenza. Prendete il necessario, ma non lasciate che vi limiti. Per trasformare un evento biografico che vi è successo in una storia, lo dovete portare all’estremo. Se quello che vi è capitato era in carattere 12, quando scrivete ingranditelo a carattere 48. Sarà più incisivo, più pericoloso, e perciò più interessante. Ma cosa fare durante una guerra, quando la realtà stessa si estremizza, fuoriesce dai propri confini e diventa infinitamente più drammatica? Dal 7 ottobre immagazzino momenti. Ascolto molto. Documento. Per la prima volta nella mia vita scrivo la realtà, così com’è.

Soltanto quando arrivo sul taxi che è venuto a prendermi dopo la conferenza do un’occhiata al cellulare per controllare le notizie, e subito mi sfugge di bocca un’esclamazione: oh! No! Il tassista si ferma con uno stridio di freni. Accosta. Cos’è successo? Si gira verso di me, allarmato. Dall’accento capisco che è arabo. Ha dimenticato qualcosa nella sala, signore? Vuole tornare indietro? No, rispondo, lasci perdere, sono le notizie. Una cosa che ho letto sul sito delle notizie. Cos’è successo? Insiste, vuole sapere. Capisco che non ho scelta, devo raccontare altrimenti non si riparte. È Idan Amedi, il cantante Idan Amedi, gli dico, è stato gravemente ferito a Gaza. Non lo conosco, dice l’autista. Che canzoni canta? Canzoni bellissime, dico, canzoni che ti toccano l’anima. Me ne canta una? chiede. Canticchio il ritornello di Parte del tempo e la prima strofa di Dolore dei combattenti, fermandomi apposta prima del ritornello sugli incubi e il sangue. Il tassista non le riconosce. Mi faccia vedere una foto, prega. Cerco su Google una foto di Idan Amidi senza uniforme. Gliela mostro. Ah, sorride, è Sagi, l’attore di Fauda. Che uomo. Sì, confermo, Idan recita in Fauda ed è un vero uomo. Dopo che ci siamo trovati d’accordo l’autista si tranquillizza, mi restituisce il telefono e si reimmette nel traffico. Le strade sono vuote. La notte è silenziosa. Una luna quasi piena illumina l’autostrada. Se credessi in Dio, pregherei.

Stiamo per congedarci dalla nostra figlia soldatessa, siamo venuti a trovarla alla base. La prima visita dall’inizio della guerra. Mia moglie le consegna gli ultimi contenitori di plastica pieni di cibo. Le sorelle più piccole scattano una foto assieme a lei. Poi un’altra, da un’angolazione diversa. Il mio sguardo vaga, si sposta all’esterno. Attraverso la vetrata noto una soldatessa che si avvicina a un soldato. Sono distanti una decina di metri, che lei percorre veloce. Di volata. Lui si muove verso di lei più lento. Più pesante. Più impolverato. Un attimo prima di toccarsi, entrambi spostano il fucile dietro la schiena in un gesto quasi coordinato, così da potersi abbracciare. Si abbracciano a lungo. Poi scostano un pochino la testa per baciarsi sulla bocca. Non piangevo dall’inizio della guerra. Non ci riuscivo. Ma qualcosa nel modo in cui lei gli ha carezzato la testa mentre lo baciava. Nel modo in cui lui si è lasciato andare tra le braccia di lei. Papà? Mia figlia, la soldatessa, mi guarda sorpresa. Piangi? Annuisco. Non ti preoccupare, papino, mi rassicura, sabato prossimo torno in licenza. Andrà tutto bene.

Mio padre ha costruito una casa nel kibbutz Malkia per potersi ritirare in campagna negli anni della pensione, ma quando l’ha terminata mia madre si è rifiutata categoricamente di vivere vicino a Hezbollah. Così la casa non ha abitanti permanenti ed è diventata il nostro rifugio. Mi sono rifugiato nella casa di Malkia durante il Covid, mi ci sono rifugiato quando dovevo rivedere i miei libri, mi ci sono rifugiato ogni volta che volevo ascoltare la mia voce interiore. Adesso non ho più un posto dove rifugiarmi. A Malkia — riferiscono i vicini evacuati in un albergo nella città di Tiberiade — ci sono solo carri armati e soldati, e qualche agricoltore rimasto a occuparsi del raccolto dei kiwi. Cosa sarà successo ai cavalli? Penso all’improvviso. Le passeggiate e il maneggio erano l’attività preferita delle mie figlie a Malkia. Una piacevole passeggiata di mezz’ora, lungo la recinzione del confine, su quegli splendidi puledri.

Mando un messaggio a Rotem del maneggio: come state? Non risponde. Immagino che un missile anticarro di Hezbollah abbia distrutto il recinto delle scuderie e i cavalli siano fuggiti al galoppo. Ma dove? Anche loro, in effetti, non saprebbero dove scappare. Dopo una settimana mi risponde con un lungo vocale: il giorno in cui hanno evacuato gli abitanti del kibbutz è arrivato un camion, i cavalli sono stati caricati e trasferiti in un’altra scuderia che li ospita, a Kfar Vradim. Stanno bene lì? chiedo. Secondo lungo messaggio vocale, questa volta in tono più addolorato. Per la verità no, ammette Rotem. Sono irrequieti, non si sentono a casa, non arrivano bambini a cavalcarli, non ci sono lezioni di equitazione, Mika è depressa e si fatica a portarla a fare un giro, Blondie è nervosa, ha mollato un calcio a uno stalliere. Anche gli altri vorrebbero tornare alla loro stalla, dice Rotem. Hanno nostalgia. Aspettano solo che questo periodo terribile finisca.

Sono mesi, ormai, che Galit, la nostra vicina a Malkia, non può ricevere ospiti a casa sua come ama fare, fra due chiacchiere a cuore aperto e una lettura di tarocchi. Inizialmente l’hanno trasferita in un deprimente albergo a Tiberiade. Poi ha trovato un appartamento temporaneo a Pardes Hanna. Mi sento una chiocciola senza guscio, mi ha scritto questa settimana. Una lumaca. Perciò siamo andati a trovarla. Ci siamo incontrati in un caffè e abbiamo cercato di non parlare della guerra, ma tutti gli argomenti portano al 7 ottobre. Prima di salutarci ha tirato fuori un contenitore di plastica. È frutta del vostro giardino. Cosa? Come? Ieri sono stata a Malkia, ha confessato. Non ne potevo più. Ti hanno lasciato entrare? ho domandato, stupefatto. Non ho chiesto il permesso, ha ribattuto. C’è qualcuno nel kibbutz? ho voluto sapere. Non c’è anima viva. Persino i cavalli hanno trasferito a Kfar Vradim. Cos’hai fatto mentre eri lì? Ho chiesto perplesso. Ha alzato le spalle, mi sono seduta in salotto a respirare aria di casa. Poi ho raccolto i pomeli e le arance dal vostro giardino, era un peccato lasciarli lì. Dopodiché sono iniziati i boom e me ne sono andata. Una volta in macchina apro la scatola di plastica e scopro che Galit ha sbucciato i frutti e li ha riposti in spicchi perché ci fosse più comodo mangiarli. Chissà perché, è proprio questo dettaglio a spezzarmi il cuore.

La mia figlia minore mi telefona. Sente dei rumori in casa, mi prega di rientrare in fretta dal lavoro. Le rispondo che ci metterò mezz’ora e chiede che nel frattempo rimaniamo al telefono. Le domando cosa sente esattamente. Mi sussurra: qualcuno parla dentro casa. Le dico, va bene, continuiamo a parlare fino a che non arrivo. Sussurra, la batteria sta per scaricarsi. Allora metti il telefono in carica, suggerisco. Non posso, sussurra di nuovo, sono attaccata alla porta e il caricatore è distante. In che senso? Non capisco. Perché sei attaccata alla porta? Sono attaccata alla porta e tengo la maniglia, per impedirgli di entrare se ci provano, sussurra, e io mi rendo conto che, anche se il 7 ottobre non eravamo in Israele, e anche se abbiamo cercato di proteggerla dall’orrore, qualcosa è comunque filtrato. Allora adesso riattacchiamo e tu mi richiamami solo se le voci si avvicinano, le propongo. Accetta. Premo l’acceleratore. Supero da destra. Supero da sinistra. Brucio un semaforo rosso. Quando arrivo, la casa è silenziosa. Apro la porta ed entro. Sono pronto al peggio. Non c’è nessuno. Mi precipito verso la sua stanza. Busso alla porta. Chiede chi è e le rispondo, papà. Apre, mi si butta tra le braccia, piange. Le dico che è stata molto coraggiosa.

La mia ex studentessa mi racconta che i messaggeri dell’esercito hanno cercato lui, il padre, e solo dopo averlo rintracciato a casa della nuova compagna a Holon hanno potuto notificare anche a lei. È la procedura se i genitori sono divorziati. Bisogna sincronizzare l’annuncio. Il suo ex marito è seduto di fronte a noi, sul divano, mentre lei me lo racconta. È curvo. Non sapevo che avessero divorziato. E adesso il loro figlio è stato ucciso a Gaza. Significa che saranno uniti per sempre, penso. Nel lutto. Nella nostalgia. Nel sapere cosa avrebbe potuto essere, e invece. Ma forse chiunque divorzia e ha figli non si separa mai davvero. Suo figlio aveva la ragazza, mi racconta la madre. Una storia seria. Già da due anni. Si sono conosciuti nella gelateria dove lavoravano insieme.

Eccola lì, indica una ragazza a disagio, con una treccia bionda, seduta su una sedia di plastica vicino alla finestra. Nessuno si avvicina a confortare lei. Il fidanzato di mia zia Margalit è stato ucciso nella guerra del Kippur, mi torna in mente, e ha continuato a parlarne per anni. Mi ha sempre stupito, quanto fosse vivo per lei. Quanto non riuscisse a dimenticarlo. Forse non si riesce mai a separarsi davvero da una persona a cui non si ha avuto la possibilità di dire addio. Arriva una nuova ondata di visitatori a portare le condoglianze. Restano in piedi e cercano un posto per sedersi. Mi alzo, e mentre mi congedo dalla mia studentessa e dal suo ex marito mi offro di aiutare, in caso vogliano fare qualcosa con tutte le lettere lasciate dal figlio. È così che mi comporto quando non so come salutare: offro aiuto.

«Ciao Eshkol, sono Tomer, papà di Omri Schwartz, caduto a Gaza poco più di un mese fa. Questo foglio si trovava tra l’equipaggiamento che ci hanno restituito insieme a lui. L’ho letto alla cerimonia per il trentesimo giorno dalla sua sepoltura». Clicco sulla fotografia allegata e scopro che è un brano dell’ultima pagina di Nostalgia, che contiene un elenco di buoni propositi per il futuro e termina con la frase «E poi, voglio tornare a casa». Sono seduto al food truck di Sho’eva. Mi sono fermato lungo la strada mentre viaggiavo da Gerusalemme verso casa, in teoria per bere un caffè ma di fatto per restare in giro più a lungo: attenua un pochino l’oppressione al petto. Avevo intenzione di rispondere ad alcune mail di lavoro, e all’improvviso questo WhatsApp. Quando guidi sotto la pioggia battente che infuria sui finestrini dell’auto e passi sotto un ponte, di colpo cala il silenzio. Assordante. Così mi sento quando leggo il WhatsApp di Tomer, papà di Omri. Lo rileggo. E anche il brano allegato. Mi manca l’aria. Tutte le promesse che Omri non potrà mai realizzare. Rifletto a lungo su come rispondere a suo padre Alla fine scrivo: «La ringrazio per avermi scritto. Mi emoziona sapere che ha letto queste parole alla cerimonia per Omri. Vi mando un abbraccio e le mie condoglianze, sono disponibile per qualunque cosa vi possa servire». Il cielo ricomincia a piangere. I lavoratori del food truck piegano le sedie e poi chiudono del tutto. Sono costretto ad andare a casa. Questa guerra va avanti da cinque mesi ormai, calcolo, genitori perdono figli e figli perdono genitori, da entrambe le parti, e non ci sono segni che l’incubo stia per finire. Sulle colline vicino a Sha’ar Hagai i mandorli fioriscono in una meravigliosa nuvola candida e io non ho alternative, devo chiamare a raccolta tutte le risorse della mia immaginazione per credere che alla fine qui nascerà una realtà diversa.

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Eshkol Nevo, il diario di guerra: la finta normalità e le lacrime all’improvviso

di Eshkol Nevo

Lo scrittore israeliano: «Ogni mattina scorro la lista dei caduti, il cuore batte forte Io dico di sì a ogni richiesta: mi riempio l’agenda perché non mi resti il tempo per la tristezza»

Alzarsi al mattino. Aprire gli occhi. Allungare la mano verso il cellulare. Entrare nel sito delle notizie. Scorrere la lista dei caduti. Ogni mattina il portavoce dell’esercito pubblica i nomi dei soldati uccisi a Gaza il giorno precedente. L’occhio si posa sui nomi. Il cuore batte forte. Una prima lettura, veloce, per assicurarmi che tra i morti non ci sia nessuno che conosco. Il bilancio finora, dopo due mesi e mezzo di guerra, è: il figlio di una cara amica. Il figlio di un’allieva. Il fratello della migliore amica di mia figlia.

Stamattina non riconosco nessun nome. Grazie a Dio. Seconda lettura, più lenta. Per rispetto ai caduti. Chi abbiamo perso stanotte. Quali giovani vite sono state stroncate. Nelle fotografie sembrano sempre bambini travestiti da soldati. Poi alzarsi dal letto. Costringersi ad alzarsi dal letto anche se il corpo è pesante, pesantissimo. Ti tira giù, nella disperazione. Indossare pantaloni sportivi. Uscire fuori, in strada, e iniziare a correre. Questa faccenda della corsa non l’avevo mai capita. È sgradevole per il corpo. Non c’è una trama. Non c’è il pallone.

Ero abituato a guardare gli uomini della mia età mentre correvano e pensare che ci sono modi migliori per risolvere la crisi di mezza età. Da quando è iniziata la guerra, corro anch’io. Tutte le mattine. Mi sono ripromesso di continuare fino a che non sarà finita. Come Forrest Gump. Non ho scelta. È impossibile iniziare la giornata con tutta questa tristezza in gola. Serve qualcosa per riequilibrare. Qualcosa che inietti un briciolo di speranza nel sangue. Le strade sono deserte, è prestissimo. Ovunque, sugli alberi, sulle facciate dei palazzi, nelle piazze, sono appese le fotografie degli ostaggi. Correndo ci passo davanti. Mi domando chi di loro è già tornato. Chi è ancora lì, in un tunnel buio. E chi non tornerà più. Rientro. Doccia. Accendo il telefono. Una foto da A. Finalmente. Tiro un sospiro di sollievo.

Un mese fa A. mi ha scritto un messaggio su WhatsApp. Voleva condividere che i miei libri lo hanno accompagnato nei momenti chiavi dell’esistenza e raccontarmi che adesso la sua squadra sta combattendo a Gaza. Mi ha chiesto se potevo mandare a lui e ai suoi ragazzi il mio ultimo libro con una dedica personale a ciascuno. Tornavano per ventiquattro ore e poi sarebbero ripartiti per Gaza. Una sera ho lasciato le copie con le dediche nell’armadietto del contatore elettrico. Al mattino non c’erano più. Da allora non ho più ricevuto notizie da A. Stavo iniziando a preoccuparmi sul serio, temevo che gli fosse successo qualcosa. Ma adesso è arrivata la fotografia. Sei soldati con il libro in mano, le facce sfocate dai pixel. Probabilmente erano arruolati in un’unità segreta. Non lo so né lo voglio sapere. Gli scrivo che gli auguro ogni bene, di tornare a casa sani e salvi. Nella casella di posta elettronica trovo un’altra richiesta da parte di un soldato. Questa volta è un riservista, si chiama Eliezer, è dislocato al confine settentrionale. Chiede se «posso andare da loro a leggere uno dei miei racconti?».

Gli scrivo di sì, certo. In questo periodo dico di sì a tutto. A qualsiasi richiesta. Mi riempio l’agenda perché non mi resti il tempo per la tristezza. Più tardi io ed Eliezer ci accordiamo. Ma la settimana successiva arriva un altro soldato a prendermi alla stazione del treno. Non Eliezer. A quanto pare Eliezer è stato trasferito in un’altra base. Non ti preoccupare, dice Oren che è venuto al suo posto, sei in buone mani.

Oltrepassiamo tutti i posti di blocco, proseguiamo in strade deserte e raggiungiamo un avamposto proprio sul confine. Per tutta la settimana ho rimosso il fatto che quella è zona di guerra e io mi sto mettendo in pericolo, e ora è troppo tardi per cambiare idea. Incontro i soldati. Mi aspettano sotto un grande telone di stoffa. Parliamo di amicizia, della strada non presa, di cosa significa essere israeliani in questi giorni. Poi gli leggo un racconto.

Dopo due paragrafi boom, un boato. Piuttosto forte. Mi fermo e ricordo che Oren ha detto che in caso di lanci di missili ci saremmo dovuti precipitare nel rifugio mobile. Ma nessuno dei riservisti fa un passo. Penso tra me e me, beh, o trovano il mio racconto davvero avvincente oppure sanno qualcosa che io non so. E proseguo nella lettura. Dopo qualche altro paragrafo si sente un altro boom. Più vicino. E giusto prima della fine del racconto, in una sorta di pausa drammatica, l’ultima esplosione, vicinissima. Quando finisco di leggere mi spiegano che i boom erano «provocati dalle nostre forze». Dopodiché fanno domande sul racconto, e sui finali a aperti, e sulla vita. Alla fine Oren mi riaccompagna al treno e per strada dice che sente che questo momento contiene anche il potenziale per un tikkun interno, una riparazione, della nostra società. Gli rispondo che lo credo anch’io. Stabiliamo di rincontrarci dopo la guerra.

Nessuno sa quando succederà. Forse tra un mese. Forse tra un anno. Nel frattempo si è creata una nuova quotidianità. Una pseudo-quotidianità. Come se l’anima si stesse abituando. Come se la vita tornasse alla normalità. Ma non è vero. Ogni tanto qualcuno crolla. Ogni tanto quel qualcuno sono io. Ieri, ad esempio. Ho parcheggiato l’auto vicino al nuovo stadio di calcio che da ormai due mesi resta deserto, inutilizzato. All’improvviso alla radio hanno trasmesso una canzone di Marianne Faithfull, The ballad of Lucy Jordan. Il testo della canzone non parla di soldati. O di guerra. Tutto sommato racconta la storia di una donna di trentasette anni che si rende conto che non guiderà più una macchina sportiva a Parigi mentre il vento le scompiglia i capelli. Non c’era motivo per cui questa canzone mi facesse piangere. Eppure ho pianto come un bambino, nel parcheggio dello stadio di calcio. A fine canzone mi sono asciugato le lacrime, sorpreso della mia stessa reazione, e sono andato a insegnare scrittura creativo. Che scelta avevo. Gli studenti mi aspettavano in classe e tutte le classi in cui sono entrato negli ultimi due mesi sono classi terapeutiche. Tutti sono al limite. Tutti sono traumatizzati in un modo o nell’altro e si aspettano qualcosa da me. La responsabilità dell’energia nella stanza è mia. La responsabilità dell’energia nella maggior parte delle stanze in cui entro, è mia. Perciò ogni mattina vado a correre e bevo un espresso e dopo un altro e dopo un terzo e penso alle crisi che ho vissuto in passato e poi superato e penso alla prossima primavera in Italia e all’appartamento in piazza Emanuele Filiberto, poi entro nella stanza e aiuto le altre persone a esprimere i loro sentimenti, o a dimenticarli, e aiutare gli altri è il modo migliore per aiutare se stessi, ce lo insegna il buddhismo, e gli studenti sono grati, dell’opportunità di scrivere, dell’opportunità di stare insieme, anche se durante l’incontro siamo corsi due volte nel rifugio perché sono partite le sirene d’allarme, io li saluto e torno alla mia auto in cui ho pianto e mi avvio e un minuto dopo scatta un altro allarme e io seguo le direttive: scendo dal veicolo. Mi sdraio accanto all’auto. Metto le mani sopra la testa. Aspetto cinque minuti. Intanto penso alle cose che non ho ancora avuto il tempo di fare, per esempio un viaggio in Colombia, o vedere la mia figlia maggiore sotto il baldacchino nuziale, e cosa succederebbe se morissi adesso. Poi mi alzo e riprendo a guidare, passo attraverso la piazza dove fino a tre mesi fa manifestavamo per la democrazia e contro il governo. In quella piazza adesso non ci sono manifestazioni. Ma ce ne saranno. Ne sono sicuro. Insieme alla tristezza, sta montando anche la rabbia. Monta e si affina. Il momento in cui chiederemo le dimissioni del primo ministro più catastrofico della storia di Israele arriverà. Sono settimane che scrivo l’articolo in cui esorto Netanyahu ad andarsene a casa. Ma mi trattengo. Mi mordo forte la lingua. Questi sono tempi di guerra, non di politica.

Quando arrivo a casa dormono tutti, il soggiorno è silenzioso. Accendo la Cnn per vedere le immagini da Gaza. Sui canali israeliani le immagini di Gaza non le mostrano. Come se l’empatia nei confronti dei civili indifesi a Gaza potesse abbattere il morale della nazione. A Rafah la pioggia cade su donne e bambini che non hanno un tetto sotto cui ripararsi. C’è una ragazzina che ricorda vagamente la mia seconda figlia. Trema di freddo. Ha fame. Ho la tentazione di cambiare canale, ma rimango. La guerra è una cosa atroce. Non possiamo dimenticarlo. Anche se viene imposta, ed è stato Hamas a imporre la guerra a noi e a Gaza, non ci ha lasciato nessuna alternativa, la guerra è una cosa atroce. La vittoria vera in questa guerra arriverà solo se sarà seguita dalla pace.

Traduzione di Raffaella Scardi

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