Sergio Della Pergola su Idee
Pubblicato in Idee il 15/02/2018 – 30 שבט 5778
All’inizio
del suo discorso alla nazione, martedì sera in televisione, poteva sembrare che
il primo ministro Benjamin Netanyahu stesse per annunciare le sue dimissioni.
Dopo aver elencato tutti i suoi meriti di soldato, diplomatico e uomo politico,
poteva sembrare logico che seguisse una dichiarazione in cui Netanyahu prendeva
atto dell’accusa di corruzione e violazione della fiducia emessa dalla Polizia
nei suoi confronti e si ritirava a vita privata, per lo meno temporaneamente,
per difendere il suo buon nome. Invece, il discorso è continuato con parole di
sfida al sistema dell’ordine pubblico e della giustizia, e si è concluso con
una inequivocabile dichiarazione: sono qui, rimango, e resterò.
Nel proclamare questo, Netanyahu si è dimenticato di dire una sola parola di
confutazione delle accuse che gli ha mosso la polizia israeliana: l’aver
ricevuto un milione di shekel in regali da un potente personaggio al quali è
stato restituito il favore attraverso provvedimenti legislativi che avrebbero
creato a quest’ultimo enormi benefici fiscali; l’aver interferito attivamente
nella stampa quotidiana in modo da far ottenere benefici economici all’editore
di Yediot Aharonot. Per questo, anche Arnon Milchan e Arnon Moses sono stati
messi sotto accusa dalla polizia. Laddove c’è un corrotto c’è sempre anche un
corruttore. In risposta alle accuse, peraltro appunto non smentite, Netanyahu
si è rivolto direttamente alla nazione, fissando lo schermo e deridendo e
delegittimando le pubbliche istituzioni: la polizia e il sistema giudiziario.
Questo modo di fare è – duole dirlo – dittatoriale. Così come dittatoriale è il
quotidiano culto della personalità propria e dei propri familiari. Così come lo
è il suo esplicito vanto di fronte alla nazione di essersi immischiato
direttamente nell’aprire, chiudere, fondere o sdoppiare canali televisivi. Il
regime del sempre più autocratico e accentratore Netanyahu degli ultimi anni –
Primo ministro, ministro degli Esteri, ministro delle Comunicazioni
responsabile della Televisione di stato, ministro dell’Economia responsabile
dello Sviluppo delle fonti di gas sottomarine – è diventato quello di un uomo
solo al comando.
Netanyahu ha puntato su alleanze internazionali quasi esclusivamente incentrate
su personaggi e regimi di estrema destra erodendo o nullificando altre
possibili alleanze. Ha sostenuto una politica economica che favorisce la
polarizzazione sociale, l’arricchimento dei ricchi e il declino delle classi
medie. Ha svolto una strategia difensiva piena di grandi dichiarazioni che però
non sono riuscite ad evitare il surriscaldamento delle frontiere settentrionali
e lo scontro militare diretto con l’Iran. Ha praticamente azzerato il ministero
degli Esteri, riducendo così la capacità di manovra diplomatica del paese. Ha
ceduto le redini degli affari religiosi a circoli estremistici che condizionano
pesantemente i suoi governi di coalizione e lo spirito ebraico della nazione.
Ha quasi distrutto il rapporto fra Israele e la grande diaspora americana i cui
giovani si allontanano rapidamente da Israele. Ha promosso inutili e
reazionarie leggi nazionaliste e l’annessione strisciante dei territori,
ignorando il grave dilemma demografico dello stato binazionale. Ha cercato di
ridurre e circoscrivere il potere della Corte Suprema, mettendo a rischio la
divisione dei poteri nello stato democratico. Ha allontanato da sé i collaboratori
più validi e si è circondato di lacchè mediocri, sguaiati e totalitari.
Sul piano della trattativa politica o di eventuali nuove iniziative di pace con
i palestinesi non ha fatto nulla. La sicurezza e l’immagine di Israele ne sono
uscite fortemente compromesse.
Israele è uno stato molto forte, ricco di risorse umane, ottimista e positivo,
e con grandi capacità di innovazione e di esecuzione. Ma la gestione Netanyahu
ha causato gravissimi danni politici e economici al paese che ne esce
indebolito. Netanyahu ha seguito modi di comportamento personali lontanissimi
da quelli molto frugali di precedenti primi ministri come David Ben Gurion,
Moshe Sharrett, Levi Eshkol, Golda Meir, Menahem Begin, Itzhak Shamir, Itzhak
Rabin, e più simili a quelli di Ehud Olmert che è finito in carcere. Ora la
polizia lo rimanda al giudizio della Procura di stato che dovrà decidere se
iniziare un regolare processo.
Al Primo ministro spetta il diritto di essere considerato innocente finché in
tribunale non sarà provato il contrario. Auguriamogli di uscire indenne da
questa prova che durerà moltissimi mesi e metterà l’intera società israeliana a
dura prova. I danni causati, in ogni caso, sono irreversibili.
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Questo è il mio seicentesimo intervento scritto sul notiziario quotidiano
dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche 24 edito dall’Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane.
La mia collaborazione è iniziata dieci anni fa e mi ha dato l’occasione di
riferire liberamente notizie, idee, preoccupazioni e speranze.
La mia è stata la voce di un ebreo italiano e di un israeliano, democratico,
leale al proprio paese, rispettoso delle istituzioni, e al di sopra di tutto
appassionato difensore dello Stato d’Israele.
In Israele e a Gerusalemme si è svolta tutta la mia attività professionale,
vivono i miei figli e nipoti, e si trova il futuro del Popolo ebraico.
Oggi, dopo gli ultimi straordinari sviluppi politici, per onestà dovrei passare
tutto il mio tempo a criticare e stigmatizzare i comportamenti e le
responsabilità del Primo ministro di Israele, il cui ruolo e la cui presenza mi
paiono deleteri per il futuro del Paese. E questo francamente non è ciò che ci
si attende di leggere sulla stampa ebraica.
Pertanto ritengo più opportuno ritirarmi e concludere qui questo bel capitolo
di scrittura pubblicistica, ringraziando il direttore Guido Vitale per il suo
costante sostegno, e restituendo questo spazio, che mi è stato fin qui
gentilmente riservato, ad altri che di sicuro meglio di me sapranno
utilizzarlo. Shalom.
Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme