Shimon Peres 1923 -2016

Shimon Peres, nato con il nome di Szymon Perski (in ebraicoשמעון פרס ascolta[?·info]Višneva2 agosto 1923 – Ramat Gan28 settembre 2016), è stato un politico israeliano, di origini polacchePresidente di Israele dal 2007 al 2014.

File:Channel2 - Shimon Peres.webm

A lungo esponente di primo piano del Partito Laburista Israeliano, del quale è stato leader ininterrottamente dal 1977 al 1992 e successivamente a più riprese sino al 2005, sin dagli anni settanta ha assunto diversi incarichi di rilievo in seno alle istituzioni di Israele, operando come primo ministro nei periodi 19841986 e 19951996, nonché come ministro degli Esteri (1986198819921995 e 20012002), della difesa, dei trasporti, delle finanze.

Nel 1994 a Peres è stato assegnato il Premio Nobel per la Pace insieme a Yitzhak Rabin e Yasser Arafat per gli sforzi nel processo di pace nel Vicino Oriente, culminati con gli Accordi di Oslo. Nel 2005 è diventato vicepremier nel governo di coalizione guidato da Ariel Sharon che gli ha affidato il ministero per lo sviluppo del Negev, della Galilea e dell’economia regionale. Nello stesso anno ha lasciato a sorpresa il Partito Laburista per aderire al partito centrista Kadima fondato dallo stesso Sharon. Eletto presidente d’Israele il 13 giugno 2007, è entrato in carica dal successivo 15 luglio sino al 24 luglio 2014. A partire dal 1º gennaio 2013 è stato il capo di Stato più anziano del mondo.[1]

ADDIO A PERES, UNA VITA PER LA PACE

 Molto più di altri giganti di quel sionismo “costruttivista” e di stampo socialista che ha fatto Israele, Shimon Peres incarnava quasi fisicamente la naturale tensione politica ed etica alla pace. Di quel sionismo infatti Peres prendeva d’istinto e senza remore la primazia della politica, la duttilità pragmatica  e l’ispirazione socialista. Al contrario di quasi tutti quei giovani e futuri grandi d’Israele che alla fine degli anni ‘40 fecero parte come lui della ristretta cerchia attorno al padre della patria David Ben Gurion, Peres non era un militare e un soldato. Era un politico. Non partiva dall’esercizio delle armi per poi inquadrarle in una superiore visione e pratica politica- come fecero molti altri del gruppo come Ytzhak Rabin e Moshe Dayan – bensì, al contrario, partiva dalla Politica per eventualmente arrivare alla sua traduzione pratica anche con le armi. Per lui era la politica la sola arte che poteva assicurare la sopravvivenza di quel fragile miracolo costituito dalla fondazione dello Stato d’Israele. Per questo, oltre che per il fatto di non essere un “sabra” perché era nato nel 1923 nell’allora Polonia  – il termine significa “fico d’india” in ebraico ed è usato per gli ebrei nati in Israele, come Rabin – Peres è stato il vero erede di Ben Gurion. E come Ben Gurion, Shimon Peres sentiva nelle sue corde la dottrina della mamlachiut – il primato della Nazione e la preminenza dello Stato sulla società civile. Ma proprio come il suo maestro – che lo storico israeliano Zeev Sternhell non a caso ha definito “il profeta armato” – non era affatto un pacifista. Semplicemente le armi non le usava in prima persona, ma le organizzava con la politica. Quando entrò nell’Haganà – il nucleo del futuro esercito d’Israele – nel 1947, il suo incarico fu infatti di responsabile del personale e dell’acquisto delle armi. Dimostrò subito un talento conseguente. Tanto che nella prima guerra d’indipendenza nel 1948, quando il neonato – per un voto dell’Onu, unico caso della Storia – Israele viene assaltato subito da ogni parte dagli eserciti di 5 paesi arabi e dalle milizie “volontarie” di altri 3, diviene capo della marina israeliana. E poi nel 1953 direttore generale del Ministero della Difesa. Qui l’idea di Peres che le armi fossero uno strumento della politica e non il contrario, che occorresse prima vedere dove e come colpire, e poi eventualmente tradurre tale visione in piani strategici e operativi, dispiegò tutto il suo potenziale. Ed è proprio in questo strategico ma oscuro ruolo che Peres comincia a diventare quello statista che poi avrà il suo massimo fulgore 40 anni più tardi come architetto del processo di pace di Oslo, con il conseguente Nobel per la Pace, e nel suo mandato di Presidente della Repubblica, dal 2007 al 2014. Perché è da questa postazione che Peres, figlio askenazita di un’Europa matrigna ma che conosceva ed amava, riesce ad instaurare un fecondo e profondo legame con la Francia. Riuscendo a far arrivare da quel paese le armi che servivano: sia quelle di piccolo taglio, necessarie per difendersi dai continui attacchi e infiltrazioni dal Libano, dalla Siria, dalla Giordania e dall’Egitto, sia quelle più potenti per la difesa aerea, come il moderno caccia Mirage, sia quelle “esistenziali” e di ultima difesa, come quelle nucleari. Peres è infatti il padre del programma atomico israeliano, e del reattore di Dimona che ne diviene la base dal 1957.

La sua pure quasi cinquantennale carriera parlamentare e politica nel laburismo, che comincia nel 1959 con il primo mandato alla Knesset per il Mapai, è in realtà nel bene e nel male già tutta in questo Peres architetto politico della sicurezza d’Israele. Un profilo che politicamente ne segnò per sempre il corso. Perché se Peres fosse stato un leader politico in un paese non minacciato esistenzialmente, il cui popolo aveva oltre tutto sofferto del terribile trauma della Shoà, egli avrebbe avuto onori e favore popolare pari alla sua competenza. Ma Peres era un politico e non un soldato, in un paese però necessariamente in armi. E così non sarà.


Verrà sempre guardato di sottecchi, come a verificarne la capacità di leadership, eternamente messa in dubbio, a tratti ridicolizzata a destra, a volte irrisa a sinistra dai suoi stessi compagni laburisti. La sua competenza politica lo porta ad essere molte volte ministro, dei Trasporti e delle Telecomunicazioni (1970-1974), della Difesa (1974-1977 e 1995-1996), delle Finanze (1988-1990), degli Affari Esteri (1986-1988 e 1992-1995 e2001-2002) ma Premier solo ad Interim (1984 -1986 e 1995-1996) e mai eletto. Perché il partito laburista lo scelse come proprio leader due volte – alle elezioni del 1977 e a quelle dopo l’omicidio di Rabin nel 1996 – ma Peres quelle elezioni le perse. Competente ma privo del necessario profilo militare per la prima linea da capofazione, Peres si rivelò infatti anche sfortunato, perché sia le elezioni politiche del 1977 (vinte da Menachem Begin) sia quelle del 1996 (vinte da Benjamin Netanyahu) furono elezioni periodizzanti nella svolta a destra del paese. Nel 1977 si interruppe un’egemonia politica del laburismo che durava dagli anni Trenta. Nel 1996 vince per la prima volta quel Netanyahu che poi rivinse altre tre volte, unico nella storia di Israele. Dopo quella anche umanamente terribile sconfitta da parte di colui che nelle piazze incitava all’odio per il premier Rabin e poi ne riuscì a prender il posto nelle elezioni che seguirono, Shimon Peres decide di rassegnarsi e di fare un passo indietro. Ed è proprio questo passo indietro che gli permetterà in realtà di farne due avanti. Guardandosi allo specchio capì che non era un generale, e dunque non sarebbe stato mai amato dal popolo come un eroico fratello maggiore. Però continuando a guardare vide uno statista e un saggio padre della Patria, conscio che la sua visione politica era l’unica che poteva garantire alla lunga la sicurezza di Israele.

Una visione politica e non messianica, che dunque vede al centro il Popolo e non la Terra, al contrario di quello che pensa quella destra israeliana oggi al potere, impegnata a riaprire una lotta sul sionismo che con Jabotinski la vide invece  perdente negli anni Trenta rispetto a Ben Gurion. Per questo scrisse anche “Ben Gurion, a Political Life” nel 2011, che è il suo vero testamento politico. Con lui se ne va anche la sua creatura, quel processo di Pace di Oslo che tanto ha fatto sperare. Ma il fatto che Peres statista per la prima volta sia accompagnato da quel favore popolare che da capofazione non ha mai ottenuto,  è segno non solo della serenità finale della sua straordinaria vita, ma anche delle risorse morali di cui Israele ancora dispone per reinventare e quindi costruire quella pace che Peres riteneva – a ragione – esiziale per la sopravvivenza del suo amato paese.  

Fabio Nicolucci